Il Comune di Montecarlo è posto in Provincia di Lucca ed il suo territorio ha un’estensione di 1559 ettari ed una popolazione di circa 4.335 abitanti. Il Centro storico, ben conservato ed ancora circondato dalla splendida cinta muraria, sorge su di un colle isolato, ad un altezza di m. 163 s.l.m.

Il territorio del Comune è costituito da agglomerati storicamente riconosciuti dalla Comunità dei quali i più significativi sono: Capoluogo, Fornace, Gossi, Luciani, Micheloni, San Giuseppe, San Piero, San Salvatore e Turchetto. Il Paese di Montecarlo, posto sul crinale della dorsale che separa la Valdinievole dalla Piana di Lucca, venne costruito nel 1333 per raccogliere presso la rocca del Cerruglio gli abitanti della Comunità di Vivinaia distrutta dai fiorentini nel 1331.

Il borgo venne chiamato Montecarlo in onore del Principe Carlo figlio del Re Giovanni di Boemia, liberatore di Lucca dall’occupazione pisana. Il principe, divenuto Imperatore con il nome di Carlo IV, venne più volte a Montecarlo occupandosi della fortificazione della rocca che si rivelò un presidio strategico nelle guerre che si combatterono nel XIV secolo fra Lucca, Pisa e Firenze.

All’inizio della sua storia la terra di Montecarlo fu sottoposta al dominio di Lucca e vi rimase per tutto il corso del XIV secolo con la sola parentesi del periodo 1342-1369 quando fu direttamente alle dipendenze del Comune di Pisa. Nel 1437, durante la guerra fra Lucca e Firenze, cadde definitivamente nelle mani dei fiorentini del cui contado fece parte fino all’Unità d’Italia.

La Fortezza, simbolo storico di Montecarlo, sorge sul punto più alto del colle del Cerruglio e la sua parte più antica, risalente ai primi anni del XIV secolo, ha l’aspetto di un triangolo isoscele con gli angoli che si saldano nella Torre del Mastio ed in quelle dell’Apparizione e di S. Barbara. Successivamente, fu ampliata nel ‘400 ad opera di Paolo Guinigi Signore di Lucca e completata nel 1555 per ordine del Granduca Cosimo I dei Medici. Lo stesso Granduca visitò personalmente Montecarlo e dispose ampi lavori di fortificazione fra cui l’imponente bastione di Piazza d’Armi.

Mutate le condizioni politiche generali, i Granduchi succedutisi abbandonarono i dispendiosi progetti e le opere militari. Infine, nel 1775 Pietro Leopoldo mise in disarmo la fortezza che, dopo essere passata in proprietà al Comune, fu successivamente ceduta ai privati. Montecarlo assunse quindi le caratteristiche di un piccolo borgo cittadino dove si scoprirono le delizie del soggiorno estivo ed autunnale e da cui si poteva ammirare lo splendore e la vastità del panorama circostante.

L’impianto urbano di Montecarlo è organizzato su direttrici parallele e ortogonali, circondato da mura fortificate, dentro le quali si innalza il maestoso Campanile della Collegiata di Sant’Andrea, visibile da tutta la pianura circostante. Delle Porte trecentesche che si aprivano lungo le mura rimangono la Porta Fiorentina a est, la Porticciola a ovest verso Lucca, mentre la Porta Nuova a sud fu riaperta alla fine del Cinquecento.

Sulla strada principale, già Via Grande e oggi Via Roma, troviamo la Chiesa Collegiata di S. Andrea, ristrutturata verso la fine del 1700, ma che della costruzione trecentesca conserva ancora la facciata e il portale.

All’interno si trova la cappella della Madonna del Soccorso, protettrice dei montecarlesi: l’affresco in essa racchiuso, risalente alla fine del 1400, rappresenta la Msadonna nell’atto di proteggere un bambino dalle insidie del demonio, ricordo di una leggenda paesana che narra del miracolo dell’apparizione della Madonna sulla torre della fortezza per difendere il paese da un attacco delle soldatesche pisane. All’inizio della Via Roma, fra la Piazza della Fortezza e quella della Chiesa, si trova uno dei più vasti edifici di Montecarlo: l’Istituto Pellegrini Carmignani, attualmente dipinto di colore bianco, già Monastero delle suore Clarisse, è oggi sede della Biblioteca Comunale, dell’Archivio storico e di deposito del Comune, nonché di diverse associazioni paesane.

Accessibile a tutti i visitatori è la piccola chiesa del convento, la Chiesa di S. Anna, con ingresso in Via Roma, (con il simpatico sovrastante coretto), e l’ex chiostro del monastero oggi trasformato in giardino pubblico. Nella vicina Via Carmignani si trova il Teatro Comunale dei Rassicurati che, costruito nei primi anni del 1700 per volere di un’associazione di benestanti e possidenti del paese chiamata Accademia degli Assicurati, è ancora oggi centro di una notevole attività culturale e teatrale.

Ai piedi della collina di Montecarlo, sulla strada che porta a Pescia, sorge l’antichissima Pieve di San Piero in Campo già ricordata in una pergamena del IX secolo; la chiesa attuale risale al secolo XII ed è un purissimo esempio di Chiesa romanica a tre navate.

APPROFONDIMENTO

L’odierno paese di Montecarlo è un esempio di continuità abitativa del medesimo territorio attraverso il tempo ed attraverso le vicissitudini storiche che, come in altri casi, portarono dalla scomparsa definitiva di un antico insediamento, alla fondazione di un paese del tutto nuovo.

Sul luogo dell’attuale Cimitero comunale sorgeva il centro di Vivinaia, forse “curtis” di demanio regio in età longobarda, nota nei documenti fino dagli inizi dell’XI secolo quale residenza di campagna dei Margravi della Tuscia, ove trovarono ospitalità nel 1022 l’imperatore Enrico II e nel febbraio del 1038 il papa Benedetto IX, l’imperatore Corrado II il Salico con l’imperatrice Gisla ed il figlio Enrico.

Nel corso del sec. XII Vivinaia, all’interno del piviere di S. Piero in Campo, assunse la dimensione di borgo fortificato: i suoi abitanti, scossa a poco a poco la soggezione dei vincoli feudali dei signori di Uzzano e Montechiari, si organizzarono fino dai primi del ‘200 in libero Comune, riunendosi in lega con altri Comuni della Valdinievole, governandosi con propri statuti e magistrature, all’interno di proprie mura, intorno ad una propria chiesa dedicata a S. Andrea e a S. Michele.

Le guerre dei primi decenni del ‘300 intervennero a frenare e poi interrompere lo sviluppo del piccolo borgo. Già nel 1328, dopo la morte di Castruccio Castracani, ben ottocento cavalieri tedeschi, più tutti i loro serviziali, abbandonarono l’esercito di Lodovico il Bavaro e si insediarono al Cerruglio, una collina più alta ed attigua a quella di Vivinaia, ove sorgeva la prima di quelle opere di fortificazione che cingevano la cresta collinare fino a Porcari. Da lì, insieme ai compatrioti che presidiavano in città la fortezza dell’Augusta, essi imposero a Lucca e a tutto il territorio il loro governo, fatto di taglieggiamenti e di violenze, finché non cedettero il loro improvvisato dominio a Gherardo Spinola nel 1329.

Vivinaia venne incendiata dalle truppe fiorentine che, nell’inverno del 1331, si stavano ritirando dall’assedio di Lucca, per il sopraggiungere a difesa della città di un corpo di spedizione inviato dal re Giovanni di Boemia; tra il 1332 e il 1333 il principe Carlo, figlio del re Giovanni ed imperatore dal 1355 col nome di Carlo IV, autorizzò lo stanziamento dei profughi vivinaiesi sull’altura del Cerruglio. L’Imperatore in seguito si vantò di avere edificato personalmente il paese: ” … edificammo un castello bello con la fortezza, difeso da mura, sul colmo di un monte, a dieci miglia da Lucca verso la Valdinievole, e gli imponemmo il nome di Montecarlo”.

La pianta del nuovo paese convergeva tutta sulla fortezza del Cerruglio, in antico assai più arretrata rispetto al centro abitato, ed il nuovo borgo venne chiamato in un primo momento Castello Lucchese; quasi subito, però, ne venne mutato il nome in quello attuale per onorare il principe Carlo stesso (“per farli cosa grata”, dicono le cronache).

Dopo che i Vivinaiesi ebbero consegnato ai Lucchesi numerosi ostaggi in garanzia di leale comportamento, confluirono sul colle anche le popolazioni del distrutto paese di S. Piero in Campo (sede della Pieve da cui dipendeva anche la chiesa di Vivinaia), le quali, nei documenti trecenteschi, ancora alla fine del secolo, ricordavano le loro case, bruciate da Uguccione della Faggiola nel 1314. Il Governo lucchese, in questa occasione, stanziò delle somme per la completa demolizione del vecchio centro incendiato e l’utilizzo delle macerie e del pietrame dei muri a secco della zona per le case del paese nuovo.

Arroccati in un paese fortificato, al centro di una regione coperta di foreste, stretta tra il corso delle due Pescie ed il lago di Sesto, abitata ancora da lupi, cinghiali e caprioli, gli abitanti di Montecarlo trasformarono il paesaggio con molta lentezza, impiantando qua e là case isolate, poi divenute “corti” grazie alle suddivisioni patrimoniali delle famiglie contadine; per secoli, il Comune continuò a riscuotere i “livelli”, cioè i proventi della locazione, concessa per generazioni e generazioni, di terreni di proprietà comunale ai privati, che li bonificarono e li lavorarono, sviluppando particolarmente le colture della vite, dell’olivo e del gelso.

Si formarono in questi secoli, dal ‘500 all’800, le fortune fondiarie di numerose famiglie locali (Bianchi, Bianucci, Bocciantini, Lorenzini tra le principali), solitamente insediate nelle ampie case del centro.
La forte posizione del paese, dalla quale si spazia all’intorno dalla piana di Lucca al Lago di Sesto, dalle Cerbaie alla Valdinievole fino di nuovo ai monti lucchesi che introducono alla Val di Serchio, fu sempre oggetto dell’ambizione dei dominatori che via via si succedettero nel tempo.

I Pisani, dal 1342 al 1369, chiamarono il nuovo borgo con l’antico nome di Cerruglio (che eludeva ogni accenno alla sovranità lucchese, come invece potevano essere Castello Lucchese o Montecarlo), ne separarono il territorio da quello lucchese e lo sottoposero direttamente all’autorità degli Anziani di Pisa; dopo la riconquistata libertà, i Lucchesi chiamavano Montecarlo “frontespizio della libertà nostra” e ne fecero il centro di una Vicaria insieme con Villabasilica. Nel 1431, in guerra contro Firenze, i Lucchesi scrivono a Niccolò Piccinino “quanto [Montecarlo] è nel cuore de’ nimici e anco sapete di che importantia è quello castello”.

I Fiorentini comunque, pur respinti nell’assedio-lampo di Montecarlo nel gennaio-febbraio 1437, dopo essersene impadroniti finalmente il 20 di giugno, con l’accordo del 1441 non vollero restituire Montecarlo ai Lucchesi, bensì ne ingrandirono e ne consolidarono la Fortezza, insediando un proprio Vicario nel paese con giurisdizione civile e criminale (che con i secoli andò sempre più dipendendo da Pescia).

La fine del ‘300 e il periodo della signorìa guinigiana (1400-1430), nonostante carestie e pestilenze, ed il dominio fiorentino passarono in questa zona senza eccessive preoccupazioni belliche fino al 1496, anno della ribellione di Pisa ai Fiorentini, che portò nuove incursioni, rapine e distruzioni in Valdinievole e nella campagna di Montecarlo fino al 1509, anno della resa di Pisa. E’ ricordato proprio per questi anni il miracolo dell’apparizione della Madonna su di una torre nel lato occidentale della Fortezza, una notte in cui i Pisani, aiutati dagli alleati Veneziani, tentarono l’assalto della piazzaforte, e furono ricacciati dalla Vergine, dal temporale e dalle armi del presidio fiorentino.

La guerra, ancora serpeggiante per tutta la prima metà del ‘500, esplose con violenza nell’estate del 1554, quando i fuorusciti fiorentini antimedicei, guidati da Piero Strozzi, nel più vasto ambito dello scontro tra Firenze e Siena e quello ancor più ampio tra Francia e Spagna, occuparono la fortezza di Montecarlo, consegnata proditoriamente dal Castellano fiorentino ai Francesi dello Strozzi, i quali occuparono e taglieggiarono il paese fino ad agosto, e provocarono la reazione delle truppe del duca Cosimo I dei Medici, che operarono una contro-occupazione del territorio montecarlese con altrettanti taglieggiamenti, requisizioni, esecuzioni capitali, nonché una dura epurazione dopo la fuga dei Francesi.

Forse l’unica occasione in cui il paese venne saccheggiato fu questa: se non le case private, certo gli edifici pubblici furono devastati e l’archivio della Comunità, come successe anche a Montecatini, altro centro perso e poi riacquistato da Cosimo I, venne distrutto. Per secoli, comunque, Montecarlo e i suoi abitanti non ebbero più un ruolo, attivo o passivo, nella politica del centralistico stato granducale, anzi, l’attaccamento almeno esteriore verso i sovrani medicei è testimoniato dalle visite che essi effettuarono con le consorti nel borgo e nella Fortezza, da Cosimo I (che già vide Montecarlo nel 1556 e 1564 e ne dispose nuove opere di fortificazione) a Ferdinando I con Cristina di Lorena, fino a Pietro Leopoldo, che visitò il paese nel 1773 tra gli applausi del popolo e il suono delle campane, Ferdinando III nel 1822 e Leopoldo II nel 1827; ai Granduchi il Comune inviava ogni anno per la festa di S. Giovanni Battista venti fiaschi di vino bianco, il profumato trebbiano locale.

Dopo il sanguinoso periodo dei conflitti del ‘500, Montecarlo non conobbe più guerra guerreggiata sul suo territorio per duecentocinquanta anni e più, fin quando diventò una Mairie del Dipartimento del Mediterraneo, all’interno dell’Impero napoleonico, e forse giunsero fino qui gli echi della reazione conservatrice toscana con l’attentato contro il maire Franceschi, nel 1809, accoltellato nel pieno centro del paese; vi si costituì come ovunque la Guardia Nazionale nel 1848, si sporcarono i muri con scritte e graffiti “allusivi alla cessata anarchica fazione, e politici sconvolgimenti”, si restaurò lo stemma lorenese sulla porta della sede del Gonfaloniere. Nel 1860, i Montecarlesi aderirono alla monarchia di Vittorio Emanuele.

Sempre stato centro agricolo importante e rinomato per il suo vino, Montecarlo ebbe un forte calo della popolazione negli anni ’50 e ’60 del ‘900, calo dal quale sta ora riprendendosi per un rinvigorito impegno agricolo, agrituristico e residenziale. Dal Comune di Montecarlo si distaccò nel 1881 la frazione di Altopascio, divenuta Comune a sé con le vecchie frazioni montecarlesi del Marginone e delle Spianate.